MANCANZA
Una sottile membrana di
nulla
pellicola trasparente, tra dentro e fuori,
dove è il nulla?
Dov'è questo germe che s'annida
che tutto sfuma, ingoiando sprazzi interi di realtà?
Mi piacerebbe, sai
uscire da me, osservare lo spettacolo delle nostre anime
che corrono insieme
eppure ora, lasciarmi cadere tra la nebbia...
Una buccia vuota
cadendo non emette alcun gemito
Mi ricordo di te
accalappiavi l’aria
con fendenti d’asfalto
E noi,
guardavamo sommessi :
in quell’istante tu tracciavi
i margini
delle nostre sconfitte
- cercando il riscontro –
piroettando tra una gabbia
e l’altra
Ricordo di te,
di quando mi dicesti ch’eravamo
nella stessa inquietudine
eppure vagavi,
vagavi nei nostri ologrammi
Al mattino volevo strapparti quegli occhi
al tramonto incastonarli nei miei
È in questo nostro ciarpame
che riflettono ancora
le aspre grida
È proprio qui che
concediamo ai nostri sforzi
un vanto innecessario
lì, si ossidano le nostre cavalcate
è lì che
comincia il pellegrinaggio
Ogni anno, apriamo quei cassetti
ripetendo(ci) ossequi
venerandi rispetti
quegli schiamazzi acclamano spargimenti…
Ma come ben sai, è arduo decidersi
(così come lo è recidersi, tagliarsi ombelicalmente)
Da un cordone all’altro scivolano
Liquefatti
i nostri amori che spruzzano nell’aria argomenti tossici
Il nostro tanfo, mentre avvinghiati respiriamo il dolore dell’altro
I singulti che, cogenti
sfumano nell’ombra.
LA CRUDELTA' DEGLI APPLAUSI
Seduto con te, di fronte alle attese
alle orride speculazioni
“se” e “ma”
prendevi, con le tue mani tenui
ciascun barlume di rimorso
lo riponevi, con calma,
in una mensola dimenticata, dove
l'occhio a lungo non avrebbe sostato
con cura, osservavi
tutti i miei piccoli sforzi
le mie ossessioni pulsanti
che accarezzavi, incurante del rischio
e solo allora,
facevamo invidia
intenti violenti che sbattevano su di noi
non più accecati da
tessere strappate,
orchidee appoggiate ai vetri
recinti scavalcati
e le sere tremende
in cui
appoggiato a te sceglievo di essere
in quelle sere, il mio volto sgualcito
misurava distanze
sporche
d' un cielo aspro
COMMENTO DI VALERIO GAIO PEDINI
Se nella poesia di molti contemporanei
si parla di cannibalismo ed in altri di autofagia dell’io, la
dimensione di Artin Bassiri, filosoficamente e musicalmente ben
organizzata, si ha nel soffocamento e nella lotta reciproca tra io ed
oltre. Il richiamo nichilista, vuole essere un richiamo che superi il
nichilismo, che lo affronti, che lo veda e lo spezzi, ma poi si
condanna alla perdizione della persona, nel silenzio. Ed è dal
silenzio che Artin Bassiri produce suoni scricchiolanti.
"Una
buccia vuota,
cadendo non emette alcun gemito"
l’io viene annullato, reso nulla.
Così il nulla esterno si rappresenta nell’interno.
Ma la dimensione più interessante la
si raggiunge quando in un monologo camuffato da dialogo, la
dimensione emotiva viene ridotta a aggressività pastosa. Nella
continuità solo in piccoli momenti ci può essere un emozione forte,
e viene tracciata sono nei versi finali, in cui il climax si eleva e
si rompe subito, rimanendo sospeso in aria
Al mattino volevo strapparti quegli
occhi
al tramonto incastonarli nei miei
I richiami alla gabbia umana (con un
interessante “accalappiavi/ l’aria/ con fendenti d’asfalto) si
rintracciano in una dimensione intima, che si fa sociologica.
La dimensione intima di Bassiri sta
nella continuità-e dalla continuità si estende. La grazia diviene
grezza, urbana, quindi mirabile, per venire incastonata “piroettando
tra una gabbia
e l’altra”, in uno status
dell’inquietudine permanente, con un sprazzo di mirabile respiro.
Con Bassiri, là dove si soffoca, si
respira. Qui avviene un ritratto sociologico, davanti allo specchio,
soffocato in esso.
E se l’amore appare, appare
dolciastro, sfregiato. Cerca in qualche modo di rinchiuderlo in una
capsula di vetro, ma alla fine deve sorbirsi le tossine del mondo. E’
un amore dell’intimità globale, che dà alle tossine altre
tossine, riempiendo il mondo.
E tutto questo è parte integrante del
“nostro ciarpame”. Non c’è via di fuga, e se c’è, non
perdura. Poiché labile. Quindi proprio nel ciarpame si edifica una
nuova babele, con una lingua tentata, grossolana, brutta
(innecessario, ombelicalmente), ma pregna di capacità ragionante.
Si tenta, ergo, e direi con un
risultato che diviene quasi di un’aspra melodia, una involuzione
alla psiche (ribadisco il concetto dello specchio), con il concetto
di genesi umana, da cui si riproduce la genesi sentimentale.
Quei “cordoni” che indicano il
legame, la prigionia, che portano a far sì che si possa solo
rimandare al mondo altri tossine, è una psico-metaforica che rende
il tutto ancora più disincantato ed aspro. La dolcezza di Artin ergo
si misura nella sua asprezza.
Tecnicamente Artin misura la sua
poetica nella troncatura, nella pausa. Parlavamo proprio ieri, dopo
avermi inviato La crudeltà degli applausi (titolo che riporta ancora
all’asprezza del palcoscenico, “il mondo”), su cui avevo di
dubbi per la forma metrica ( a me appariva troppo azzardata, in
alcuni “a capo”, troppo stonata), dell’idea di Artin di rendere
ogni pezzo (trattasi di canti) diverso dall’altro, di creare una
nuova scena, un nuovo mondo: un rinnovamento,ergo della forma
contenutistica.
Ma proprio in questo vi è una
continuità-per quanto le note siano variabili- anche nello stesso
testo: si passa dall’acuto al grave precipitosamente, sbilanciando
a volte il testo.
Il testo ultimo riprodotto (scritto a
Parigi) forse è il più amoroso testo qui proposto. Si respira un
ambiente casalingo, con metafore che indicano l’interno di un
arredamento (le mensole, le orchidee, le tessere), che forma un
puzzle affettivo, che si conchiude nell’asprezza, proiettandosi
all’esterno
in quelle sere, il mio volto sgualcito
misurava distanze
sporche
d' un cielo aspro
Dall’intimità, ergo, si passa al
palcoscenico del mondo e riecheggia un applauso. Crudele. Una
dimensione minimalista che, alla fine, fortunatamente, trova un
effimero spiraglio di libertà.
Tra cordoni, gabbie, mensole ed altro
Artin proietta una libertà, che è sempre palcoscenico di
un’effimera amarezza esistenziale.
Valerio Gaio Pedini